Il presente testo contiene alcune riflessioni relative alla pratica della fiducia, una pratica di lavoro quotidiano che si svolge nel qui e ora, nel cerchio quotidiano del nostro giorno, perchè da sempre c’è bisogno di fiducia per iniziare il giorno e continuarlo.
Due fili di esperienza si trovano qui indissolubilmente intrecciati: la pratica buddhista di consapevolezza, la quale nutre da anni la mia ricerca spirituale e la visione materna, custode fedele della nostra frammentarietà e fecondità di esseri umani. Lo sguardo di gentilezza amorevole, benevolenza e cura verso noi stessi/stesse e verso gli altri è sguardo di essere che ci è stato consegnato e che impariamo un poco ogni volta, ogni giorno, attraverso l’incontro con tutto ciò che è altro – che identifichiamo cioè all’inizio come separato da noi – nel guardare e vedere del nostro quotidiano.
La fiducia è attitudine impalpabile, invisibile e, allo stesso tempo, assolutamente reale. Grammaticalmente è un nome astratto, e tuttavia a volte è fuorviante questa classificazione linguistica che impariamo tra i banchi di scuola tra nomi astratti e concreti, dal momento che è difficile trovare qualcosa di più reale e concretodi una disposizione di fiducia, di una disponibilità interiore alla fiducia, capace di smuovere in me e intorno a me, forza tranquilla e calma determinazione.
La fiducia è da sempre lo spago che tiene insieme l’inizio e la fine del giorno, l’inizio e la fine delle cose. E’ recipiente attivo che contiene e che, contenendo, dà forma al mondo che qui e ora io sono, noi siamo.
Fiducia è atto vitale di buona energia, che ci accompagna oltre le chiusure e le rigidità (del nostro ego), oltre le varie forme di sfiducia che ci chiudono, ci rinserrano, tagliando fuori tutto il fuori della sfiducia, un fuori che si stende, infinito di possibilità e, insieme, di verità. Il nostro agire di fiducia, il nostro fare fiducia è una provocazione quotidiana alla sofferenza e alla sfiducia, nostre e degli altri.