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“Le figlie del Buddha”
Due testimonianze raccontano una neonata associazione per le donne buddhiste.
Che viene da lontano
A cura di Sakyadhita Italy

Da molti anni seguo, con gratitudine profonda, il lavoro di Sakyadhita International[1] (Sakyadhita, ‘Figlie di Buddha’), l’associazione di donne buddhiste impegnata a ‘risvegliare’ le donne al loro potenziale di donne nel Dharma, a portare equità di genere nelle diverse comunità buddhiste presenti oggi nel mondo, a contrastare i mali sociali di povertà, malnutrizione, abusi sessuali e traffico sessuale, a operare nell’ambito di educazione, salute, pratica spirituale e ordinazione monastica femminile completa (così come nel sostenere l’accesso delle monache all’alto titolo di geshema ripristinato pochi anni or sono).[2]

LA DUALITÀ DI GENERE
In due occasioni, ho avuto modo di ‘toccare con mano’ la straordinaria forza propulsiva di Sakyadhita International, partecipando a due Conferenze Internazionali (Hong Kong, 2017; Seoul, 2023). Alla conferenza di Seoul eravamo in circa 3000 devote, tra monache e laiche provenienti da più di trenta Paesi del mondo. Una esperienza feconda di crescita umana e spirituale! E qui a Seoul un piccolo gruppo di italiane (due monache di tradizione tibetana e due laiche) ha annunciato alle ven. Karma Lekshe Tsomo e alla ven. Tenzin Palmo la decisione di fondare Sakyadhita Italy[3] a beneficio delle donne e di tutti quanti gli esseri sul Sentiero del Beato. Personalmente, come studiosa di Buddhismo indo-tibetano e come donna-praticante buddhista, ritengo sia ormai auspicabile all’interno della tradizione buddhista italiana il riconoscimento della dualità di genere quale modalità imprescindibile di interpretazione e visione di sé e del mondo (dacché come si sa il genere maschile e quello femminile risultano sempre culturalmente interpretati), ovvero il riconoscimento di quei sedimentati stereotipi di genere culturali (paradigmi storici e non dunque inamovibili), come quello ancora diffuso e autorevole della supposta inferiorità femminile e della dimensione religiosa quale territorio privilegiato del soggetto maschile e della parola maschile.

LA TRADIZIONE AL FEMMINILE
Sembra allora legittimo assumere, per tutti noi uomini e donne di fede nel messaggio di Buddha Śākyamuni, la prospettiva storica di studio e indagine della tradizione buddhista e venire a considerare non solo la parzialità della storia religiosa sin qui documentata, ma altresì la parzialità stessa dell’esperienza religiosa maschile, per molti versi autoreferenziale (e amputata dell’apporto delle donne devote).
È dunque per questo che in questi ultimi decenni la dimensione religiosa e spirituale di donne studiose e/o praticanti si è assunta il compito sia dello studio delle fonti originali di riferimento, sia della ricerca di autorevoli modelli spirituali femminili capaci di fecondare e ampliare l’immaginario simbolico di riferimento per uomini e donne sul Sentiero.

GIUSTIZIA SOCIALE
E il riconoscimento consapevole di non poter essere riconducibili a una esperienza religiosa e spirituale dicibile unicamente al maschile diventa risveglio al valore e alla dignità del Sangha femminile, monastico e laico, nella sua specificità di genere. All’interno delle società contemporanee l’uguaglianza di genere e la conciliazione di genere si pone allora quale fattore necessario per la diffusione del messaggio di Śākyamuni e dei suoi valori nel mondo e per la reputazione stessa del Buddhismo quale religione egualitaria e equanime (J. Gyatso). Perché la questione dell’equilibrio di genere e della conciliazione di genere nell’ambito religioso buddhista non è solamente una questione di giustizia sociale, ma soprattutto – come ci ricorda la ven. Karma Lekshe Tsomo, una delle fondatrici di Sakyadhita International (Bodhgaya, 1987)[4] – una questione di buon senso.

di Carla Gianotti, co-fondatrice di Sakyadhita Italy

Durante la XVIII Conferenza di Sakyadhita International, nell’immensa sala di Coex, nel cuore di Seoul, in un palazzo di vetro che si staglia fra i grattacieli, il mio sguardo incontra, proprio di fronte, le pagode del tempio Bongeunsa, costruito nel 1500. Nuovo e antico si uniscono empaticamente in una continuità energetica che rende il messaggio del Buddha sempre attuale e presente, grazie anche alla partecipazione di monache e monaci che appartengono a tutte le tradizioni buddhiste. Ma sono soprattutto le monache, il Sangha femminile, con le vesti di tanti colori diversi che distinguono le varie tradizioni, a sconfinare con le loro teste rasate nello spazio. Quasi, dall’alto della sala della conferenza ad anfiteatro, non ne vedo la fine. È un’emozione profonda che risveglia in me un senso di appartenenza mai provato in precedenza, di continuità con la storia meravigliosa e antica del Risvegliato, che 2500 anni or sono in India diede inizio al Sangha femminile e maschile. Ed è questo Sangha femminile – e soprattutto la prima donna pienamente ordinata, Mahapa- japhati, la zia del Buddha che lo allevò – che suscita in me un sentimento profondo di devozione e di immensa gratitudine.

SANGHA FEMMINILE
Secondo la tradizione tramandataci, tuttavia, il Sangha femminile si trovava in una situazione di inferiorità rispetto al Sangha maschile. Si narra infatti che Bhikshuni Mahapajapati dovette osservare otto regole ulteriori oltre ai voti monastici femminili – i cosiddetti otto gurudharma, che stabiliscono la sottomissione del Sangha monastico femminile a quello maschile – voti che continuano a valere ancora oggi.
Questo è un argomento di discussione e confronto prioritario all’interno della Conferenza. Sebbene risulti ormai storicamente documentato come tali otto regole siano state redatte in un periodo cronologico di molto successivo a quello di Buddha Śakyamuni, esse continuano a essere perpetrate, e sono perciò una delle principali responsabili della percezione dell’inferiorità monastica femminile rispetto a quella maschile.

ORDINAZIONE COMPLETA DELLE MONACHE
Un altro tema importante della Conferenza è stato quello relativo all’ordinazione completa delle monache quali Bhiksuni. Jetsunma Tenzin Palmo, una delle venerabili Bhiksuni, presidente più volte di Sakyadhita International, afferma: “L’idea di un quadruplice Sangha sorse nella mente del
Buddha nella fase iniziale del suo insegnamento. Non è possibile allora che egli si fosse opposto al monachesimo femminile che era parte del quadruplice Sangha. Egli descrisse il quadruplice Sangha come una tavola con quattro gambe, molto stabile. Tutti quelli che si oppongono alla più alta ordinazione monastica femminile hanno una tavola solo con tre gambe e mezzo, che mi sembra sia molto traballante”.
La buona notizia, che porta con sé fiducia e vigore entusiastico, è l’avvento della ricostituzione del lignaggio femminile delle Bhikshuni, l’ordinazione completa delle monache. In Bhutan, Je Khen- po, su richiesta della famiglia reale e della Regina madre, ha deciso di procedere all’ordinazione di Bhiksuni, ripristinando in tal modo la tradizione Mahayana Mulasarvastivada, ovvero la tradizione del Buddhismo tibetano, con una cerimonia straordinaria officiata da un unico Sangha, quello maschile. Si tratta di un evento di grande portata storica e spirituale: la possibilità cioè per le monache di raggiungere una piena rappresentanza nella tradizione buddhista e manifestare, con un ruolo autorevole, la loro attitudine compassione- vole a beneficio di tutti gli esseri senzienti.

di Monaca Carla Tsultrim Freccero, co-fondatrice di Sakyadhita Italy

Buddhismo Magazine
Settembre 2024, pp. 58-61

[1] sakyadhitaitaly.org
[2] Il termine geshe (lett. ‘fratello o amico spirituale’), che indica un’alta qualifica accademica all’interno della tradizione monastica maschile, è dal 2011 coniugato al femminile: in questa data infatti a Dharamsala in India (sede del governo tibetano in esilio e luogo di residenza del Dalai Lama) venne conferito per la prima volta nella storia del Buddhismo tibetano il titolo di geshema (femminile di geshe) alla ven. Kelsang Wangmo, monaca di origine tedesca: a partire dal 2016, poi, l’acquisizione del titolo è pienamente accessibile alle monache.
[3] sakyadhitaitaly.org
[4] KARMA LEKSHE TSOMO in Dignity and Discipline. Reviving Full Ordination for Buddhist Nuns, Wisdom Publications, Boston 2010, pp. 281-289 on p. 289.

“Daugthers of the Buddha”
A newborn from afar. The birth of Sakyadhita Italy.
Two testimonies

by Sakyadhita Italy

I’ve been following the work of Sakyadhita International (Sakyadhita – Daughters of the Buddha)[1] with the utmost gratitude for many years. This association of Buddhist women is committed to awake women to realise their female potential through Dharma, fostering gender equality in Buddhist communities worldwide, tackling the social ills of poverty, malnutrition, sexual abuse and trafficking, and working in the fields of education, health, spiritual practice and the full ordination of women (plus supporting the access of nuns to the higher level of geshema restored in recent years)[2].
On two occasions I experienced first-hand the extraordinary driving force of Sakyadhita International by attending two International Conferences (Hong Kong in 2017 and Seoul in 2023). 3000 followers attended the Seoul conference, including nuns and lay people from more than thirty countries around the world. A fruitful experience of human and spiritual growth! In Seoul a small group of Italian women (two Tibetan nuns and two lay people, myself included) told Ven. Karma Lekshe Tsomo and Ven. Tenzin Palmo of our decision to establish Sakyadhita Italy[3] to benefit women and all beings on the Path of the Blessed One.
As a scholar of Indo-Tibetan Buddhism and a Buddhist female practitioner, I personally feel that it’s now truly beneficial for Italian Buddhism to recognise duality of gender as an unavoidable way of seeing ourselves and the world (as today it is well known how male and female genders are always interpreted culturally). In other words the acknowledgement of those deeply-rooted cultural gender stereotypes (models that are now considered as historic and therefore not unmovable), such as the still widespread and influential one that women are supposed to be ethically inferior, as well as the one that regard religious dimension as a privileged male territory for the male subject and the male voice only.
It would therefore seem legitimate for us all, both men and women who have faith in the message of Śākyamuni Buddha, to assume the historic perspective of studying and examining Buddhist tradition and to consider not only the partiality of religious history documented up to now (which has often failed to recollect memory of the experience and genealogy of women for transmit and preserve the religious tradition), but also the partiality of the male religious experience itself, which in many respects is auto-referential (and deprived of contributions from devout women).
This is why in recent decades female Buddhist scholars and/or practitioners (as well as eminent Buddhist Masters, male and female) has taken the task of studying both the original sources of reference (in order to check the historic reliability of tradition and to identify the reference points of cultural androcentrism in which it has operated up to now), and seeking influential female spiritual models capable of fertilising and broadening the symbolic imaginary of men and women on the Path.
Added to this is the awareness that we as women could not only be included into male accounts of a spiritual and religious experience (which aims at perpetuating the supposed impartiality of men and masculine models considered as neutral in their maleness i.e. inclusive of female gender). As women we need to awaken to value and dignity – to the complete existence – of the female Sangha, both lay and monastic, in its gender-specificity. In contemporary societies gender equality and gender conciliation have therefore to become crucial (and legitimate!) issues for spreading Śākyamuni’s message and its values throughout the world, and for the reputation itself of Buddhism as an unbiased, egalitarian religion (Janet Gyatso). Because the question of gender balance and gender conciliation in the Buddhist religion (as in any other setting) isn’t just about social justice, it’s about common sense, as we are reminded by Ven. Karma Lekshe Tsomo, one of the founders of Sakyadhita International (Bodhgaya, 1987)[4].

Carla Gianotti, co-founder of Sakyadhita Italy

Thanks to a wonderful invitation I’m here at the 18th Sakyadhita International Conference, in the massive Coex centre in the heart of Seoul, in a glass building that stands out among the tower blocks. My gaze falls upon the pagodas of the Bongeusa Temple right in front of me, built in 1500. New and old combine empathetically in an energy continuum that makes the Buddha’s message present and current, thanks to the attendance of nuns and monks who belong to all Buddhist traditions. It is the female Sangha in particular however, the nuns, with their clothes in different colours characterising the various traditions, who stand out with their shaved heads filling the space. There’s almost no end to them from high up in the amphitheatre-styled conference room. Profound emotion rises within me, with a sense of belonging that I’ve never felt before, of continuity with the wonderful, ancient history of the Awakened One, which saw the start of the male and female Sangha in India 2500 years ago. It’s precisely this female Sangha, and especially the first fully ordained woman, Mahapajapati, the Buddha’s aunt who raised him, who arouses a deep feeling of devotion and immense gratitude within me.
Despite this, according to the tradition that has been passed down to us though, the female Sangha has suffered a condition of inferiority compared to the male Sangha. Indeed it is reported that Bhikshuni Mahapajapati had to observe eight additional rules along with the vows taken as a nun, which are known as the Eight Garudhammas (eight rules that established the submission of the female monastic Sangha to the male one and that continue to be applied until now).
This subject had been a priority for discussion at the Conference. Even though it was historically documented that these eight rules were drawn up in a timeframe subsequent to that of the Buddha Sakyamuni, they continue to be applied and therefore are hugely responsible for nuns being perceived as inferior to monks.
Another key topic at the Conference had regarded nuns being fully ordained as Bhikkhunis. Jetsunma Tenzin Palmo, one of the Venerable Bhikkhunis and Chair of Sakyadhita International several times, states that “The idea of a fourfold Sangha came to Buddha at the start of his teaching. It’s impossible then that he was opposed to the female monasticism that was part of the fourfold Sangha. He described the fourfold Sangha as a very stable table with four legs. Everyone who’s against the highest ordination of nuns has a table with three and a half legs only, which is very wobbly indeed.
The good news, bringing enthusiastic strength and confidence, is the start of re-establishing the female lineage of Bhikkhunis, the full ordination of nuns (which stopped in some female monastic traditions, such as the Tibetan tradition, or never started in others). In Bhutan, Je Khenpo has decided to proceed with the ordination of Bhikkhunis on request of the royal family and the Queen Mother, thereby restoring the Mahayana Mulasarvastivada tradition i.e. the tradition of Tibetan Buddhism, with a special ceremony officiated solely by the male Sangha. This is an event of major historic and spiritual significance, and an important step forward in gender equality between monks and nuns, enabling the latter to achieve maximum representation in the Buddhist tradition and to manifest their compassionate attititude with an authoritative role so to benefit all sentient beings.

Sister Carla Tsultrim Freccero, co-founder of Sakyadhita Italy.

[1] sakyadhitaitaly.org
[2] The term geshe (literally ‘brother or virtuous friend’) refers to a high-level academic degree for monks. It has had a feminine suffix since 2011, when the title geshema (feminine of geshe) was used for the first time in the history of Tibetan Buddhism in Dharamsala in India (home of the Dalai Lama and the Tibetan government-in-exile) to refer to Ven. Kelsang Wangmo, a nun of German origin. Since 2016 the title has been fully accessible to nuns.
[3] sakyadhitaitaly.org
[4] KARMA LEKSHE TSOMO in Dignity and Discipline. Reviving Full Ordination for Buddhist Nuns, Wisdom Publications, Boston 2010, pp. 281-289 on p. 289.

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